Incendio nella baraccopoli de Los Platanitos a Santiago de los Caballeros

Quella de Los Platanitos è una comunità da sempre vicina a ColorEsperanza poichè ospita una delle scuole comunitarie di Oné Respe. Lì, prima ancora della costituzione dell’associazione, abbiamo contribuito alla costruzione di una casa per una famiglia in difficoltà, lì abbiamo girato il cortometraggio Aguas, lì realizziamo da anni campi estivi e sosteniamo con il progetto di accompagnamento scolastico un’intera classe.

Un paio di settimane fa un incendio ha colpito alcune case di famiglie amiche e di collaboratrici di Oné Respe.

Abbiamo chiesto a Chiara, che in quella comunità sta lavorando con i giovani, di relazionarci sull’accaduto.

Incendio nella comunità Los Platanitos

Lunedì 21 maggio, alle tre del pomeriggio circa, eravamo come sempre negli uffici di Onè Respe quando iniziammo a sentire odore di bruciato. In un primo momento pensammo che i vicini stessero bruciando la spazzatura, una brutta abitudine purtroppo molto comune dato che il servizio di raccolta dell’immondizia è scarso e in alcuni casi inesistente.

Quando il fumo iniziò a farsi penetrante, la preoccupazione ci fece uscire per verificare ciò stava succedendo e sfortunatamente confermammo la nostra preoccupazione più grande. Dietro il robivecchi una grande colonna di fumo spesso e nero. Per un momento sperammo che l’incendio si stesse propagando nel magazzino stesso, ma già Yajaira era scappata in direzione de Los Platanitos. Proprio lì dietro vive la nostra amica e collega, come molte altre persone. Da Onè Respe immediatamente chiamarono i pompieri, la cui sede fortunatamente si trova vicino, nella Calle 20.

Camminando rapidamente chi chiedevamo l’un l’atro i nomi delle persone che vivono in quella zona. Quante case si ammassano in quell’angolino? Quante persone staranno al lavoro? Quante saranno a scuola? E quante in casa? Appena all’entrata della comunità si percepiva il movimento frenetico, persone guardandosi e guardandoci con preoccupazione.

Arrivammo al ponte: un formicaio di gente trasportando mobili, vestiti, casse, bambini e portando via dalle case tutto quello che si poteva mettere a salvo. Yajaira, piange, chiama i suoi tre figli che non si trovano, le cedono le ginocchia e una vicina la sostiene. Io cerco di tirar fuori dallo zaino la macchina fotografica per fare delle foto ma mi viene incontro Agueda che mi scarica tra le braccia un televisore e mi indica la casa all’altro lato del ponte dove metterla: più che di reporters c’è bisogno di braccia per lavorare. I pompieri sono già arrivati ma l’incendio continua, un camion non è sufficiente e arriva un secondo. La stessa gente del barrio riempie secchi con l’acqua del fiume Gurabo, che attraversa Los Platanitos, e inizia a bagnare le case circostanti: una precauzione che si rivelerà vittoriosa e incredibilmente salvò alcune casette di legno giusto al lato di altre che stavano bruciando.

Tutti chiedono notizie di un familiare, un vicino, un amico. Non manca nessuno, appaiono anche i figli di Yajaira: Diego era a La Cruz a casa una zia, Joan all’altro lato del fiume e Joanny racconta che è entrata nella casa in fiamme per chiudere la bombola del gas. Tante donne con i braccio bebè e contornate di bambini celebrano la vita: stiamo tutti bene, questo è l’importante. E lo ripetono come un mantra, per autoconvincersi e calmare chi si preoccupa per un materasso o gli elettrodomestici.

Mentre alcuni lavorano incessantemente, altri si lasciano bloccare dalla paura e dal panico, piangono e reagiscono in maniera incongruente: invece di preoccuparsi per la salute dei propri familiari o se domani avranno ancora un tetto sopra la testa, si infuriano perché nella confusione gli hanno rubato le scarpe o perché hanno perso pentole e piatti.

Siamo divisi in due scuole di pensiero. Quelli che rischiano la vita per salvare il possibile, fino all’ultima forchetta, entrano nelle case in fiamme che continuano a bruciare con il pericolo che una bombola del gas esploda e che la sfortuna si trasformi in tragedia, e quelli che rimangono lontani, al sicuro: la vita è la unica cosa che importa. Che si bruci tutto: domani costruiremo una casa migliore.

Da pena vedere questa povera gente affannarsi per proteggere i loro pochi beni, pensare a quanto avranno sognato e lavorato per costruire queste casette effimere. Tutta una vita per conquistare quel niente. Possiamo solamente immaginare la disperazione e la angustia però incredibilmente continuano a lavorare con energia, come persone abituate a vivere in stato d’emergenza, come se questa fosse solo l’ultima delle disgrazie che gli ha regalato la vita.

Qualcuno lascia un divano proprio all’entrata della stradina che si incunea all’interno del barrio, nella zona colpita dall’incendio, ostacolando il passaggio, però allo stesso tempo creando un punto di riferimento e di incontro. Caroline, Lisaury, Lesly e altri bimbi si fermano lì giocando. A volte, per imitare i grandi, fanno il conto dei vestitini persi o si sforzano di piangere.

Quale sarà stata la causa? Molto probabilmente un guasto elettrico, come sempre. Cinque case dove vivevano venti persone si sono bruciate completamente. Di quelle che erano fatte di legno non rimane nulla, solo il lugubre spettacolo dei pezzi di lamiera del tetto caduti per terra. Quando se ne sono andati i pompieri lasciando solo macerie fumanti, mi hanno dovuto spiegare dove si trovassero le case solo poche ora prima, perché già non ero in grado di riconoscere quel luogo dove ero passata così tante volte.

Yajaira è stata fortunata, dicono, perché casa sua era fatta di blocchi di cemento, e nonostante ciò è difficile fare il calcolo dei danni: il tetto non esiste più, il fuoco si è mangiato le travi di legno che lo sostenevano, le finestre, le porte, i mobili e gli accessori.

Le parole di conforto di Natacha esortano a non preoccuparsi: sicuramente alla fine si ritroveranno con qualcosa di meglio di ciò che hanno perduto grazie alla solidarietà di tutti.

Sto iniziando a crederci: la casa di Arcadia, illesa, si è trasformata in un magazzino dove tutti portano vestiti. Onè Respe ha portato cibo per affrontare le prime ora di emergenza e materassi. Ha anche messo a disposizione la sede dell’associazione per accogliere chi sia rimasto senza un tetto, ma molti hanno preferito sistemarsi a casa dei vicini. Addirittura Tino ha concesso che qualcuno dormisse in una delle stanze che affitta.

Il giorno dopo tutti stavano cooperando rimuovendo tutto il legno, ferro e tutto il materiale non riutilizzabile. Perfino politici dei due partiti che terminavano di affrontarsi nelle elezioni presidenziali del 20 di maggio, arrivarono promettendo aiuto, però ovviamente solo a quelli “de los míos” (lemma di una campagna politica che indica i simpatizzanti di uno dei due partiti): comunque sia, speriamo che almeno per una volta si compromettano veramente…

Siamo felici che questo incidente non si sia trasformato in una tragedia, che abbia colpito solamente le cose e non le persone e che ancora una volta la solidarietà possa dare una speranza a chi più ne ha bisogno.

Abbiamo anche qualche foto (4) delle case incendiate e qualche foto (3) delle opere d’intervento già iniziate.

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